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5 min

La Preferita

600 PB | L'Unica

Attestante: Immondo Barbafero
Archivio di Riferimento: Non Trasportabili / Permanenti
Locazione: Parete 578, Righe 12-55

“Quella che oggi io, Immondo Barbafero, attualmente Vicario del Sommo Custode delle Biblioteche Inesistenti, andrò ad incidere, è forse una delle vicende più bizzarre e contorte che abbiano mai riguardato uno dei pezzi conservati nelle Stanze de L’Unico Re.

 

Se bene infatti la storia di tale artefatto fosse data per certa ormai da tempo immemore, durante lo studio delle trascrizioni degli avvenimenti (stese per conto di Petro Barbafero nella 35esima manata del 592 P.B, reperibile nell’Archivio Trasportabili, Stanza 65, Scaffale 6827) ho potuto riscontrare come quella che per tutti era risultata essere la conclusione più ovvia, non era altro che l’inizio di un rompicapo che solo oggi ha sorprendentemente visto una sua conclusione.

 

L’artefatto in questione altri non è che La Preferita, la più bella, magnifica e luminosa pietra di Dianzio che Picaria abbia mai visto.

 

Si narra infatti che esso fosse stato trovato casualmente dal un contadino proveniente da Rogna mentre, con fare annoiato e stanco, arava i campi in una calda e soleggiata mattina del 587 P.B., manata ignota.

 

Secondo i fatti noti, suo malgrado, il povero contadino fu quasi immediatamente raggirato da un mercante più furbo che intelligente, come i fatti poi mostreranno.

Il contadino infatti vendette legalmente il Dianzio al mercante per ben 100 Petecchie, salvo poi verificare, alla prima taverna dove provò a spenderle che le stesse non solo non riportavano il Sigillo de L’Unica, ma che per di più erano leggere quanto una foglia morta.

 

Con in mano l’affare della sua vita, testimoni riferiscono che il mercante avesse, con poca saggezza, fatto spargere la voce del possedimento di questa pietra dall’immane bellezza e dalle dimensioni immonde, nella speranza di trovare acquirenti più facoltosi dei soliti morti di fame con cui faceva affari.

Fu così che giunto a Sbratta, previo invito di un anonimo nobile locale la cui affidabilità era garantita dalla Gilda Mercantile del Nord Est, venne adescato senza troppo impegno da una delle responsabili di un bordello locale, che fatto si che lo spirito e le droghe portassero l’ingenuo mercante al collasso, si premurò, insieme all’enorme pietra, di denudarlo di qualsiasi bene, lasciandolo però comodo su di un soffice letto.

 

La donna, ben più accorta del mercante e consapevole di quanto i pericoli che quella pietra portava con se fossero ben più consistenti del suo valore in Petecchie, decise che il Mastro di Chiavi della città potesse essere il più indicato per gestire la faccenda.

 

Tal Mastro di Chiavi, che ad oggi siamo soliti appellare come Mastro di Chiavi Conciliare Emerito Gerolamo, si premurò personalmente, avendo immediatamente compreso cosa le sue mani stringevano, di trasportare La Preferita al Primo Anello de L’Unica, riconosciuto quale unico luogo degno di contenere una così rara e pura bellezza.

Questi fatti avvennero nel corso di diversi cicli, occupando le dita e le manate che riempiono lo spazio compreso tra il 587 P.B al 592 P.B.”

 

Tali avvenimenti però risultano essere, dalle mie ben più accurate indagini, solo la parte finale di una storia di cui si è voluta far scomparire la memoria. 

 

Com’era stato possibile che una pietra così bella e perfetta, così grande e potente, fosse comparsa naturalmente dal terreno, così lontana dallo Magno Strappo oltretutto? 

Domande che solo un Gobelino può porsi e alle quali solo un Barbafero può rispondere.

 

Se bene infatti, vi sia assoluta certezza che nulla possa entrare o uscire dal Primo Anello senza che l’Unico Re dia diretta approvazione, esiste un sussurro, un sibilo che si insinua da sempre nelle taverne del Secondo Anello, un nome che è possibile udire solo quando lo spirito abbonda.

 

“La Piuma Lesta” lo chiamano.

Un leggendario ladro cui neanche le spesse mura e le valenti guardie di Fortezza Vecia erano state in grado di resistere.

Era forse possibile che La Preferita, simbolo dell’eterno ritorno del Dianzio alla sua casa, altro non fosse che una pregiata lavorazione sottratta ai Gobelini stessi?

 

Sarebbero ovvio a quel punto cercare in tutti i modi di nascondere la verità.

No, probabilmente no.

Eppure spiegherebbe tutto.

O quasi.

Perché abbandonare un oggetto così prezioso nel bel mezzo dei nudi campi, dopo essere riuscito nell’impresa che avrebbe reso immortale qualsiasi vile malvivente come lui?”

 

Borbottando queste vuote domande alle mura della silente biblioteca, pensai che un ennesimo sguardo a La Preferita avrebbe potuto illuminare la mia strada. 

Aprii i pesanti portoni che mi dividevano da essa.

Una piuma, paziente, mi volteggiò davanti, mossa quasi solamente dal mio respiro, fino ad arrivare ad altezza dei miei occhi.

Vedo finalmente la teca.

Vuota.

Uno stralcio di pergamena poggiato al suo interno.

“Anche i migliori sbagliano”

 

Correva il 600 P.B, e nella trentesima manata, nel terzo dito, La Preferita era stata rubata per la seconda volta.

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