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La Purga di Serafino

604 PB | Valle dei Canti, Spelonca

Dalle memorie del Mastro di Chiavi Conciliare Leandro da Spelonca 

“Son dunque in fine giunto a poter narrare de lo più magnifico atto di maestosità, brutalità e misericordia a cui nella mia lunga esistenza io abbia mai avuto l’onore e l’onere si assistere.

 

Come detto più volte in questa raccolta di memorie, non era insolito che il sottoscritto e lo leggendario Re di Spelonca Bartolomeo V si trastullassero in tempi di relativa pace con lunghe scalate a li Guardiani del Muro, per poi trovare sicuro e dolce riposo cullati dalle praterie de la Valle dei Canti.

 

Nella manata  precedente erano giunte allarmati notizie da Baralorda.

Pareva infatti che un giovane e potente congregato, sopravvissuto all’epurazione dell’Ordine dei Cacciatori di Eretici, avesse fondato un nuovo ordine e preso il controllo delle milizie della Savia Città, proponendosi definitivamente di espandersi verso Spelonca.

 

Lo nostro grande Re, pur non temendo nessuno, era da allora irrequieto, conscio di ciò che uno scontro diretto di quella portata con la Savia Congrega poteva significare.

 

Lo benevolo fato volle però questa nuova e pericolosa leva, tale Serafino, fosse più arrogante che abile nel portare avanti lo suo folle piano.

 

Come si diceva, eravamo nella Valle dei Canti, alternando vane disquisizioni esistenziali a ben più serie conversazioni su quale fosse la miglior cervogia della penisola. (La Chiara di Rogna, ndr)

D’un tratto, dagli alberi, una figura da li bianchi capelli e dall’infiammato sguardo prese forma dinnanzi a noi, rendendo l’aria pesante e portando con sé nubi di tempesta.

 

Serafino: “È un piacere sapere che non dovrò giungere fino a Spelonca per far inginocchiare il suo Re, sarebbe stata una faticaccia”

 

La sicurezza e l’arroganza del suo portamento  mi avevano terrorizzato a tal punto che solo dopo qualche secondo notai che Bartolomeo era ancora sdraiato a terra a bivaccare, inzuppato dall’improvviso acquazzone che ci aveva investiti.

 

Serafino: “Cos’è caprone, l’avanzare dei Cicli ti ha reso sordo o stupido?”

 

Lo magnifico Re allora, come avesse tutto il tempo del mondo, mandò giù l’ultimo chicco d’uva e con movenze quasi goffe si levò finalmente dal suolo, fissando il giovane dritto negli occhi.

 

Serafino: “Caprone inizio a credere che non parliamo la stessa lingua, devo iniziare a belare?”

 

Bartolomeo si voltò verso di me sorridendo.

Poi torna con lo sguardo a Serafino e, in quella che sembrò una parte di tempo inesistente, lo colpì con un cazzotto dritto sullo stomaco

 

Bartolomeo: “Tre”

 

La figura del congregato si era impotente accartocciata su se stessa quando si vede arrivare addosso un montante che colpisce sicuro il mento  

 

Bartolomeo: “Due”

 

Serafino fermo a mezz’aria in attesa di quella che ormai era fine certa, sorride disperato.

Aveva compreso l’abisso che lo divideva da una divinità in terra

 

Bartolomeo: “Uno”

 

L’imponente figura del Re Picchiatore sovrastava quella del congregato coperto di sangue e vergogna quando l’ultimo micidiale pugno va a segno.

 

Re Bartolomeo allora guarda Serafino, a terra esanime in fin di vita e in un gesto di misericordia infinita decide di non assestare il colpo mortale.

Poi si volta, mi guarda con occhi iniettati di sangue ed esclama “A me la Chiara di Rogna pare piscio!”

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